Quartieri storici

Centocelle

Vorrei fare un po’ il nonno. Vorrei raccontare un po’ della mia infanzia e come questa sia stata diversa da quella di un bambino di oggi, e quanto da quella di uno cresciuto in zone più centrali. E capire un po’ perché era così. Per questo, in questa storia ci sono due filoni, uno storico-sociologico e uno personale, talora separati e talora inestricabilmente intrecciati. Per questo ho riportato sia dati storici e statistici, sia i giochi che facevo. Ho provato a separare parzialmente i due filoni usando caratteri diversi.

Roma nel 1854, 150 anni fa, aveva 160000 abitanti, suppergiù quanti ne aveva Torino e meno di Napoli1 (420000), Milano (190000) e Palermo (185000). Oggi questa popolazione si è moltiplicata di oltre 15 volte, a fronte di circa il raddoppio del numero di abitanti di tutta l’Italia.

Roma, dal 1870, ha fronteggiato il forte aumento della popolazione prima gonfiandosi entro le mura e quindi straripando nei suburbi appena fuori. Quando ciò non bastò più, soprattutto quando le zone centrali divennero più pregiate, si fecero migrare gli abitanti meno abbienti nelle periferie e sorsero, nell’Agro Romano (la cintura dei campi che forniva la grande maggioranza del cibo per la città), le “borgate”. Queste erano dei relativamente piccoli insediamenti, spesso abusivi, immersi nella campagna. Nel secondo dopoguerra, quasi tutte queste borgate si gonfiarono, eliminando quasi completamente gli spazi campestri e diventando degli enormi quartieri periferici. Questo racconto è ambientato all’inizio di questa fase.

Da quando avevo poco più di un anno, a parte brevi periodi, ho sempre vissuto a Roma. O meglio a Roma, ma in periferia, prima un po’ troppo a Est, nel territorio dei Latini, poi un po’ troppo a Ovest, nel territorio degli Etruschi. Il risultato è che non mi sento romano, o meglio, non mi sento quello che si definiva “romano de Roma”, cioè del centro. L’ho sempre saputo, ma l’ho capito bene nel breve periodo che ho vissuto a Trastevere (poco meno di un anno), dove era evidente, per come pensavo, come vestivo e, soprattutto, per come parlavo, che ero poco più di uno straniero. E non tanto per le mie ascendenze campane, quanto perché io a Roma al più ci andavo in visita, vivevo da un’altra parte.

Roma è una delle città più note, descritte, sognate del mondo. Ma poco si sa dei quartieri periferici (in cui tra l’altro ci sono più antichità, anche se per lo più ignorate, che in qualsiasi altra città d’Europa, a parte Roma centro, Pompei e pochissime altre). Pasolini era innamorato della periferia romana, ha scritto due bellissimi romanzi su di essa, e vari film neo-realisti sono lì ambientati, ma, a scapito del nome “neo-realismo”, queste opere d’arte, peraltro molto belle e spesso poetiche, sono abbastanza lontane dalla realtà quotidiana di allora.: in esse le borgate sono una tavolozza di ambientazione o semplicemente il giardino zoologico dove sono rinchiusi i mitici, platonici, sotto-proletari.

La periferia romana (qui mi riferisco soprattutto alla periferia sud-est, tra la Tiburtina e l’Appia) aveva caratteristiche molto peculiari, per certi versi molto più dinamiche della Roma del centro. Il punto fondamentale, probabilmente, era che gli abitanti, che venivano da tutta Italia, soprattutto dal centro sud, erano gente senza ingombranti tradizioni, forse perché ne avevano troppe e troppo diverse. Un vero melting pot. Il tutto con lo sfondo di una campagna interrotta da ruderi antichi e del boom economico che cominciava a manifestarsi.

  1. Napoli era la terza città d’Europa, dopo Londra (2 milioni) e Parigi (1 milione). Nel mondo più popolose erano Pechino, Tokio, Costantinopoli e Calcutta.