La Sanità

Ricordo i pomeriggi passati nella sala d’aspetto del dottore, a via delle Ninfee. Poi l’infermiera introdusse l’idea del numeretto e così si facevano due file, una per il numeretto e una per la visita, ma erano più corte.

Il dottore era simpatico, giovane e autorevole e aveva sempre una sigaretta in bocca e la voce roca.

Nello studio c’era un quadro di un eroico dottore, con tutte le vene gonfie, che si faceva una endovenosa, forse per provare su di se un vaccino. Allora a me faceva un po’ paura, adesso sembrerebbe uno che si fa una pera.

C’era poi un apparecchio per fare le radioscopie, antenate delle radiografie e meno costose di queste (non serviva la pellicola): il paziente veniva messo tra una forte sorgente di raggi X e uno schermo fluorescente, al buio o quasi, e si vedevano proiettati gli organi interni, le ossa, il cuore che pulsava. Il problema era che per fare una radioscopia si usavano dosi di raggi X molte migliaia di volte più elevate che non per una radiografia odierna: e oggi si usano schermi anti-radiazioni, controlli e ci si preoccupa. Il dottore usava spesso questo suo aggeggio, non certo per motivi ortopedici, ma per “controllare” cuore e polmoni. Ricordo io su uno sgabello dentro l’apparecchio e i miei genitori, nella penombra col dottore, che guardavano sullo schermo il mio cuore che batteva mentre io “facevo dei grossi respiri” o alzavo le braccia o mi mettevo di profilo. Mi domando se questi aggeggi siano serviti più a curare malattie o a crearne.

Le prescrizioni erano un po’ strane rispetto a quelle che si fanno oggi. Andavano da terapie “dolci” per le cose non importanti, per esempio “mele cotte e mele crude” oppure “citrosodina” (cioè citrato), oppure carne di cavallo a pezzetti bollita a bagno maria in una bottiglia (uno schifo che mi sono sorbito tutti i giorni per mesi). Per le cose più gravi, dolorosissime iniezioni di penicillina, sulfamidici o altro, intramuscolari o endovenose.

C’erano poi dei rimedi, come l’Erbamil (cloridrato di etil-morfina) o vari sciroppi per la tosse a base di codeina che ora sono stati messi al bando ed invece erano efficacissimi.

Una cosa che andava alla grande (era prescritto per tantissime cose, anche per il mal di testa) era il clistere. In parecchie case c’era l’apposito apparecchio, spesso attaccato a muro nel bagno. Per i bambini si preferiva usare le “pompette” o (in romanesco) “perette”. L’espressione “fatte na pera” esisteva anche allora che non c’erano tossico-dipendenti, ma significava “fatti un clistere”.

Qualcuno (non il nostro dottore, se non in casi eccezionali) riteneva che dare l’olio di ricino ai bambini una volta alla settimana facesse bene; i più pietosi sostituivano l’olio di ricino (che fa schifo) con delle purghe effervescenti e la radio faceva la pubblicità della “dolce Euchessina”. Ma sicuramente si trattava di palliativi rispetto al rimedio principe: d’altronde si sa, il medico pietoso fa la piaga.

Un altro rimedio usato era l’olio di fegato di merluzzo, ma quello almeno si sa che contiene le vitamine A e D.

Io soffrivo moltissimo di mal di testa, soprattutto per i postumi dell’incidente d’auto. Ebbene, non ho mai visto un analgesico. L’aspirina veniva prescritta e la prendevo per la febbre. Ricordo che per farmi passare il mal di testa i miei genitori mi facevano il pediluvio caldo (che spesso funzionava) e per i casi gravi io avevo inventato una tecnica che consisteva nell’immaginare una pallina morbida nella testa e nello spostarla dove mi faceva male, accarezzandomi delicatamente.