Roma sparita

La presa del Falcone

L’antica Trattoria del Falcone, la cui origine si fa risalire al Seicento, era situata in piazza S. Eustachio 58, e non aveva nulla a che vedere con l’omonima osteria ubicata in via della Penna, presso la passeggiata di Ripetta. Perché « del Falcone»? Nelle sue discutibili « Notizie storiche intorno alle origini dei nomi di alcune Osterie, Caffè, Alberghi e Locande esistenti nella città di Roma» il buon Alessandro Rufini ci fornisce questa semplicistica spiegazione: «Denominasi del falcone perché, quando venne aperta, serviva in essa come cameriere un uomo con occhi talmente grossi, e di colore castagni, che assomigliandosi precisamente a quelli del falco, gli avventori lo chiamavano col soprannome di falcone, che poi si attribuì alla trattoria, la quale fu sempre così chiamata ». Dal canto suo Umberto Gnoli, in « Alberghi e osterie di Roma nella Rinascenza», c’informa che « per circa due secoli fu ben nota la trattoria del Falcone a S. Eustachio, rimasta aperta fino al 1887, ma che nel secolo XVIII si trova registrata fra le osterie grosse alberganti» (la data di chiusura mi è confermata da Erino Baccari, nipote dell’ultimo proprietario Giuseppe Durante di Amatrice). Nel locale, rinomato per le sue specialità gastronomiche, si davano convegno, nel secolo scorso, artisti e buongustai italiani e stranieri, tra i quali Gregorovius che lo frequentò più volte in compagnia di amici. Come si vede, con l’andare degli anni la trattoria, originariamente frequentata da modesti popolani, aveva acquistato una clientela più scelta. Scrive infatti Raffaele De Cesare in «Roma e lo Stato del Papa» che al Falcone « non era infrequente il caso di trovare dei signori all’ora di colazione ». Il locale era noto naturalmente anche al Belli, che lo cita in due sonetti. Nel primo (A Menicuccio Scianca, 1830) è narrata una boccaccesca avventura che ha per protagonista « lo sguattero dell’Oste der Farcone»; nell’altro (La carità cristiana, 1843) è raccontato lo strano caso accaduto al sotto-coco der Farcone» il quale, dopo una fortunata vincita al lotto, è avvicinato da due agenti di polizia che, accusandolo di aver avuto i numeri da uno stregone e minacciandolo di denunziarlo all’Inquisizione, lo defraudano della vincita: Delatti er capo, sibbè avesse er dritto de manettallo, ha presi solamente li quadrini der còrpo der dilitto. Le fantasiose disavventure dei dipendenti del Falcone divennero realtà, sia pure d’altro genere, in una fredda notte d’inverno del 1851, epoca in cui accadde un fatto per comprendere il quale bisogna riportarsi al clima politico della Roma d’allora. I! 12 aprile 1850, dopo la breve parentesi repubblicana, Pio IX era rientrato dall’esilio di Gaeta scortato da un drappello di Cacciatori francesi, che gli era andato incontro a Genzano. A fianco della carrozza papale caracollava l’ampolloso generale Baraguay d’HiIliers. Colui che, giunto a Roma nell’ottobre del 1849, era stato accolto da questa pasquinata: Chi dice che li guai son terminati, Chi dice che li guai son cominciati: Dites-donc, sor Para-guai che qui venite, I guai li cominciate o li finite?

In effetti i guai cominciavano allora perché, con la restaurazione del potere temporale e con l’acquiescenza delle autorità francesi, ebbero inizio le epurazioni, gli esili, le carcerazioni, i processi politici e le condanne. La popolazione mordeva il freno, e per manifestare il suo malcontento contro il Governo e le truppe d’occupazione, ricorreva ad ogni mezzo: anche quello di astenersi dal fumo. È del 16 maggio 1851 una « notificazione» del cardo AntoneIIi minacciante gravi pene contro gli autori di « insulti a questa pacifica popolazione per impedirle l’uso del tabacco». Questa forma di resistenza passiva era già in atto all’epoca in cui accadde l’episodio che vedremo più innanzi. E di quale pesantezza fossero le pene minacciate è dimostrato da una sentenza del 20 maggio dello stesso anno, con la quale il Tribunale della Sagra Consulta, presieduta da mons. Antonio Sibilia, condannava a 20 anni di galera tal Pietro ErcoIi, arrestato in un’osteria di via in Lucina « mentre arditamente imponeva a Luigi Giannini di non accendere lo zigaro che voleva fumare». Risultò che mentre il Giannini si accingeva ad accendere il sigaro, « l’Ercoli si permettesse con imponenza di smorsargli il fosforo, arditamente dicendagli che non si poteva e non si doveva fumare, dandogli in pari tempo degli urti, e pronunciando ingiuriose parole». Atmosfera pesante, come si vede. La popolazione vedeva come il fumo negli occhi le truppe d’occupazione c covava un sordo rancore contro il Governo. Circolavano pubblicazioni clandestine, si tenevano riunioni segrete, e in quel clima di sospetto le perquisizioni domiciliari si moltiplicavano. Tale era la situazione quando a sostituire il generale Baraguay d’Hilliers venne chiamato il generale Gemeau. Durante il suo comando le cose s’aggravarono, e la frequenza di incidenti tra la popolazione e i militari francesi indusse il generale a prendere ulteriori misure repressive. Sì che Pasquino proruppe: De sti Irociacci parchi l’insolenza Nun se deve da noi più sopportane; Mo nun è tempo più d’ave’ pacienza Nun s’intenne antra. legge che menane.

È da notare che l’appellativo di «frocio» non aveva l’odierno significato, ma serviva a qualificare genericamente qualunque « forestiero ». Si giunge al gennaio del 1851 il Roncalli, in data 6 di quel mese, annota nel suo Diario: «Circola per Roma altra stampa intitolata “Atti del Comitato nazionale Italiano”. Essa, in sostanza, contiene una protesta del Comitato ai Rappresentanti del Popolo nell’Assemblea legislativa di Francia, sopra le conseguenze dell’intervento francese in Roma. Porta la data di Londra, 21 novembre 1850, ed è sottoscritta da Giuseppe Mazzini, Giuseppe Sirtori, Aurelio Saffi, Aurelio Saliceti, Mattia Montecchi, Cesari Agostino segretario». Intanto il generale Gemeau e la Polizia pontificia, avvicinandosi la data del 9 febbraio, anniversario della proclamazione della Repubblica Romana, prendono le loro precauzioni per fronteggiare eventuali disordini. Di conseguenza le perquisizioni e gli arresti si intensificano, e il Roncalli, alla data del 6 gennaio 1851, annota: « Nella trattoria così detta del Falcone, i carabinieri francesi perquisirono scrupolosamente tutti gli individui che vi si trovavano, ed assoggettarono a tale visita anche le donne, il che fece qualche sensazione presso il pubblico. Furono carcerate circa 10 persone; ma sembra per mero sospetto. Nella stessa notte la Polizia romana carcerò circa 70 persone, sospette principalmente di essere autrici o distributrici di libelli infamatori. Fra queste otto stampatori, già addetti alla stamperia Pallotta. Fu similmente carcerato un Petroni, bolognese, avvocato criminale e consulente di Canino. È voce che costui sia l’autore del libello stampato ” Roma e gli Stati Romani nel 1850″ ». Quest’operazione poliziesca non ha, evidentemente, nulla vedere con l’altra, posteriore di undici giorni, che Agostino così annota nel suo Diario: « Venerdì 17 gennaio 1851 – Nella notte scorsa la gendarmeria francese si è presentata all’osteria del Falcone, e vi ha arrestato varie persone che vi si trovavano; molti altri arresti si assicura abbia eseguiti per la città. Pare si fossero prese altre misure di precauzione dal comando militare francese, come sarebbe pattuglie in giro, qualche raduno di truppa in qualche posto. La causa di questi arresti in massa è da attribuirsi al desiderio del Governo di scovare i detentori ed i distributori di alcuni opuscoli politici, che avevano invaso ogni angolo dello Stato». Forse a questo secondo episodio, riferito brevemente dal Chigi, allude un articolo a firma di Marino Morelli, apparso sul «Fanfulla della Domenica» del 23 ottobre 1892. Il Morelli si limita a dire: « Eravamo nell’inverno del 1851…»), e prende a narrare con stile colorito ed ampiezza di particolari la memorabile «Presa del Falcone». Ecco i fatti. I confidenti della Polizia pontificia avevano riferito che molti « demagoghi», armati di tutto punto, si sarebbero riuniti di notte alla trattoria del Falcone per cospirare contro il Governo. Il generale Gemeau ordina allora che due compagnie di Cacciatori e un plotone di cavalleria si tengano pronti ai suoi ordini; e all’ora stabilita muove alla loro testa verso il luogo della riunione: «La notte era cupa, fredda e piovosa, e non girava anima viva. La trattoria era chiusa. Nessuno spiraglio di luce dalle finestre: tutto silenzio e pauroso mistero ». Il generale teme un agguato e circonda con i suoi uomini la trattoria, come a stringerla d’assedio. Poi risuona un ordine secco e un manipolo di Cacciatori, con le baionette innestate, si lancia contro le porte del Falcone e le sfonda: «Cadono le porte come le mura di Gerico…, irrompe il piccolo esercito nelle cucine e nelle camere, e che cosa trova? I cuochi che, finito di far ” fritti”, ripulivano le padelle, c altrove la famiglia dei padroni che dormiva saporitamente ». Accadde un pandemonio: rumore di stoviglie infrante, pianto disperato di bambini, donne che fuggono in camicia… Infine « riordinate le truppe, il generale si ritirò in buon ordine, con un palmo di naso. Erasi fatto giorno, e la gente che cominciava a girare accompagnò alle loro tende i poveri soldati, tra le beffe e le risa». A differenza di quanto si legge nel Diario Chigi, il Morelli non accenna ad alcun arresto. Che si tratti allora di un terzo eoisodio’ Sta di fatto che, in data 7 febbraio, il Roncalli annota ancora nel suo Diario: «Circola per Roma una piccola caricatura, rappresentante l’assedio della trattoria del Falcone, dove figurano i cacciatori d’Orleans ed altri militi della guarnigione francese occupati alla espugnazione, non che il generale stesso, avente tra le mani un grosso squadrone in atto minaccevole. Alle finestre vi sono cuochi, sguatteri, camerieri armati di casseruole, piatti, spiedi, che si difendono». Il disegno, eseguito in Roma, fu mandato a Genova per l’incisione, e quindi ne furono spediti in buon numero di esemplari a Roma, che vennero distribuiti con somma cautela. Varie copie furono indirizzate al generale stesso, che si assicura montasse in piena collera. In seguito a tali insulti, il generale diramò alle sue truppe ordini severissimi contro la gioventù briosa e insolente, e perché si tenessero Falcone di mira ».i frequentatori delle trattorie e « segnatamente quelli del Le draconiane disposizioni non valsero a salvare il generale Gemeau da un’altra beffa atroce. A pochi giorni di distanza dalla eroicomica impresa, un dragone pontificio si presenta al Comando francese, latore di un plico sigillato per il generale. Il plico conteneva un « breve» pergamenaceo di Sua Santità, scritto in magniloquente latino. Il destinatario, emozionato, comprende che si tratta di una onorificenza per lui, e si precipita da un alto prelato francese pregandolo di fargliene la traduzione. Il Breve, dopo un acconcio preambolo, diceva: «Essendo stato a Noi riferito da persona degna di fede, come alcuni furibondi cittadini si fossero a scopo di cospirazione riuniti presso una trattoria detta volgarmente il Falcone, tu primo fra i tuoi soldati, nulla curando i rigori di una notte invernale, affrontasti quei furenti». Dopo aver magnificato l’impresa, il breve continuava: « Volendo corrispondere a’ tuoi impareggiabili meriti Con un’onorificenza degna di Te, t’invemente” stiamo della Bargello carica di condottiero della nostra sbirraglia, detto volgar- ” ». Indignazione del generale, che si precipita dal cardinale AntonelIi mette chiedendo giustizia. soddisfazione. Il cardinale sorride maliziosamente e proChe cosa era avvenuto? Un tale, introdottosi con un pretesto nella stanza terrena posta all’ingresso del Quirinale _ dove aveva sede il corpo di guardia dei dragoni – aveva nascostamente depositato il falso « breve» sul tavolino ingombro di dispacci in partenza. E il plico era stato regolarmente recapitato. Quanta materia per la satira pungente d’un Belli! Ma il poeta, oramai stanco e malato (l’ultimo suo sonetto porta la data del 21 febbraio 1849) era tornato alle stucchevoli adunanze accademiche d’un tempo. In sua vece pensarono altri a prendere in giro quel precursore di Mannaggia la Rocca. Ciò avvenne, ad esempio, quando il gen. Gemeau, con una « Proclamation» apparsa sull’ufficiale «Giornale di Roma» del 13 maggio 1851,ordinava l’arresto di tutti gli individui « portant des Cannes d’une grosseur telle, qu’on devait croire qu’elles renfermaient des armes cachées ». Immediatamente « la gioventù briosa ed insolente» fece circolare per Roma una caricatura raffigurante il generale a cavallo, in grande uniforme, circondato dal suo Stato Maggiore, nell’atto di verificare il calibro dei bastoni requisiti. Altra volta, invece, gli fu inviato in dono un canestro di mele, accompagnato da un biglietto su cui era scritto: « I Romani daran sempre tali frutti al buon generale». L’eroica « presa del Falcone» aveva coperto di ridicolo « Le Géné- ral Commandant la Division d’occupation». È lecito immaginare quale sospiro di sollievo deve avere emesso quando, col titolo di « duca del Falcone» affibiatogli da Pasquino, lasciò la sede di palazzo Mignanelli per cedere il comando al suo successore.