Roma

Roma era lontana. Quando si andava al centro, o anche alla stazione che non era considerato centro, si diceva “Vado a Roma”.

Roma era bellissima. Inimmaginabile oggi la sua bellezza. I colori, l’atmosfera, la gente. Il centro era vivo, vissuto, con botteghe di artigiani, mercati all’aperto, il tutto in mezzo a palazzi, chiese, monumenti immortali. Le strade erano tutte lastricate a sampietrini, che poi furono tolti negli anni sessanta. I sampietrini di Roma erano (e sono, perché hanno ricominciato a metterli, da qualche parte) piuttosto diversi dal pavé parigino che era più regolare e più piccolo e di colore rossastro (anche a Parigi l’hanno tolto, dopo che era stato usato per le barricate del 68 contro i CRS). L’effetto era più “caotico” e disomogeneo e ciò contribuiva a creare quell’atmosfera così unica.

La gente era pigra, me ne accorsi quando andai a Milano per la prima volta: i milanesi, che correvano di qua e di là, mi parevano matti. Ora non ci sono differenze, da questo punto di vista, tra romani e milanesi: abbiamo imparato a correre pure noi.

C’erano poi i negozi, bellissimi rispetto a quelli di Centocelle: i miei, quando di rado si andava a Roma, frequentavano soprattutto la zona intorno al Corso, a via Nazionale e a via XX Settembre: ricordo Caccetta, dove si compravano le scarpe, Schostal (al corso) per le camicie di mio padre, “Le Sorelle Adamoli” per la ferramenta e roba per la casa, ma soprattutto La Rinascente e il mio preferito, il CIM o “palazzo di vetro” (che non esiste più da una trentina d’anni). C’erano le scale mobili, di legno, che mi affascinavano e terrorizzavano.

Ricordo la prima volta che andai a San Pietro. La chiesa enorme era piena di gente. C’era una strana cerimonia, non so cosa fosse: c’era un prete con un lungo bastone che lo dava in testa ai fedeli (piano, ovviamente). Allora il papa, Pio XII, veniva portato in giro con la sedia gestatoria, portata in spalla dai “sediari”; altro che “papamobile”. Uno dei giochi che si facevano da bambini era la “seggiola del papa”, dove un “papa” veniva issato su a sedere da altri due bambini che poi cominciavano a cercare di farlo cadere cantando la canzoncina

La seggiola der papa chi ce piscia e chi ce caca chi ce fa no scureggiò casca giù signor padrò.

C’era poi la statua di San Pietro, piccola e bruttarella rispetto a tutte le altre di papi e santi, ma tutti ad accarezzargli e baciargli il piede che era tutto consumato (ce ne è una copia nella chiesa del Sacre Coeur a Montmartre, anche lì col piede destro consumato). La stazione Termini appariva futuristica e bellissima. Le prime volte che l’avevo vista era ancora in costruzione: ricordo le scavatrici che scavavano alle Laziali, abbassando il livello stradale e facendo ritrovare le botteghe in alto, al primo piano (fecero un apposito ballatoio che c’è ancora).

Nei sottopassaggi c’erano i lustrascarpe, il “Diurno” e le “pesche”, delle macchinette con delle piccole gru che, se ben azionate, facevano vincere giocattolini.

La zona preferita da mia madre, invece, era piazza Vittorio, che era vicina al “Galilei”, la scuola dove insegnava. Allora l’Esquilino era un quartiere borghese molto diverso da adesso, molto simile al quartiere Prati. Piazza Vittorio, la “vera piazza” più grande di Roma[7], è il centro commerciale del quartiere, ed aveva il più grande mercato della città.

Per arrivare a Roma si passava per Ponte Casilino, vicino al Pigneto e a Porta Maggiore, limitrofa del quartiere di San Lorenzo. Ancora si vedevano decine di case semidistrutte dai bombardamenti del 43, in certi punti ancora pericolanti. Si vedevano ancora le carte da parati e i lavandini attaccati ai muri ancora in piedi. San Lorenzo era stato bombardato il 19 luglio; Ponte Casilino il 13 Agosto. Mio padre, che nel 43 abitava a Torpignattara, me lo raccontava. C’era la leggenda che circolava che su un muro c’era scritto “Mejo l’americani su la capoccia che Mussolini tra li cojoni”, ma non credo che l’avessero scritto gli abitanti: tra l’altro allora Mussolini tra li cojoni non ci stava più da qualche giorno (purtroppo ci si sarebbe rimesso fra un po’). Certo dobbiamo essere molto grati agli Americani per il loro intervento in Europa. Ma non capisco come ciò possa giustificare il mitragliamento a bassa quota di civili (così fu ucciso il parroco della chiesa di Sant’Elena al Pigneto)[8].

Ricordo la fiera di Roma all’EUR, nel 53 (non era dove è adesso, mi sembra fosse vicino a dove ora c’è il Luna Park; lo dico perché ricordo che c’era vicino un laghetto con la balena di Pinocchio, che anni dopo vidi al Luna Park dell’EUR). I miei ovviamente guardavano soprattutto i mobili. C’erano delle cose che sarebbero futuristiche adesso: ricordo dei mobili letto che si aprivano con un pulsante elettrico. Al di fuori di quella fiera, li ho visto solo nelle gag della Pantera Rosa o film simili.

7 Piazza Navona è lunga uguale, ma è più stretta e piazza dei Cinquecento e piazza San Giovanni, soprattutto quest’ultima, non sono urbanisticamente delle vere piazze, ma degli slarghi.

8 Breve nota storica. Dall’inizio del 43 era evidente la grave sconfitta militare che stava subendo l’Italia (soprattutto per grossi casini organizzativi e logistici). Quando fu bombardato San Lorenzo, dove morirono forse 3000 civili in un massiccio bombardamento ad alta quota a cui partecipò anche Clark Gable e furono esonerati i piloti cattolici (700 aerei; l’Italia allora era rimasta con 500 in tutto), Mussolini stava per cadere, ancora per poco aggrappato alla leggenda della super-arma tedesca. Cadde poi neanche una settimana dopo, il 25 Luglio. Il bombardamento di San Lorenzo fu preannunciato da lancio di volantini nei giorni precedenti, che esortavano la popolazione dall’allontanarsi dai bersagli militari e dalle stazioni. Badoglio sostituì Mussolini, fu sciolto il partito fascista, uscirono dalla clandestinità gli anti-fascisti e, anche se la guerra “continuava”, era chiaro che era solo per tenere buoni i tedeschi. Il 13 Agosto ci fu, oltre a un pesante bombardamento, il mitragliamento della popolazione civile. Il giorno dopo Badoglio dichiarò “Roma città aperta”, cioè senza militari. Quando l’8 Settembre ci fu l’armistizio, Roma fu attaccata (a Porta San Paolo) e invasa dai tedeschi e iniziò uno dei periodi più bui della città, stranamente simile all’altro del 1527, il “sacco di Roma”: anche allora a invadere erano tedeschi (i lanzichenecchi) e la durata dell’invasione fu di circa nove mesi. Le altre invasioni (il vandalo Genserico e l’ostrogoto Totila) non fecero danni neanche lontanamente comparabili; gli attacchi dei saraceni a metà del nono secolo si risolsero in tanta strizza e pochi danni. Per quanto riguarda i due bombardamenti di Roma (in effetti due furono solo i maggiori) c’è una similitudine con quelli di Hiroshima e Nagasaki (bombardate il 6 e il 9 Agosto 1945): mentre il primo potrebbe avere una giustificazione strategica, il secondo, con un Giappone oramai oltre che prostrato, inebetito, sembra solo lo sfogo di puro sadismo militare (“scatenate l’inferno” non è solo la battuta, nella traduzione italiana, del film Il Gladiatore, ma l’incitamento, dopo il briefing alla vigilia del bombardamento di San Lorenzo, di un cappellano militare americano cattolico).